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Il pianto delle onde
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Nel precedente post avevo accennato di voler parlare di alcuni racconti, e vorrei cominciare proprio dall’ultimo della raccolta: Mother. Come già avevo scritto nella nota alla fine del libro, è stato il primo racconto ad aver visto la luce. Senza dubbio, è anche il racconto a cui tengo di più. Lo scrissi di getto, dopo aver rielaborato alcuni sogni (forse sarebbe più corretto chiamarli incubi!) di cui avevo preso nota nel corso del tempo. Da circa sei anni infatti ho l’abitudine di annotare i sogni più particolari, quelli che mi lasciano qualcosa o che hanno una trama originale. Una sorta di magazzino insomma, dove attingere quando ne ho necessità. Sono stati gli stessi sogni a suggerirmi la storia, che è emersa naturale e fluida in pochi giorni, senza ripensamenti o pesanti riscritture.

Il bambino, la donna, la follia, la disperazione, l’angoscia, il senso di colpa, l’amore morboso e la malattia erano elementi già presenti negli incubi, ed è stato semplice legarli assieme per costruire il racconto.

In realtà alcuni incubi in Mother sono molto più vecchi, come il demone che accompagna la protagonista sulla collina, o le due tigri nella casa-labirinto. Altri invece, sono fatti realmente accaduti trasformati in sogni. La falena gigante, ad esempio, è esistita davvero. La trovai da bambina nel cortile della scuola e la portai a casa dentro una scatola. Sapendo che si trattava di una falena (eh sì, a quell’età già guardavo i documentari in tv da brava futura biologa!), animale notturno quindi, abbassai le avvolgibili del salone e la lasciai lì nella speranza che si riprendesse. In effetti accadde, nel momento sbagliato però: mentre mio fratello passava nel corridoio la falena prese il volo e gli si attaccò nel petto.

Lui, che ancora aveva sei anni, naturalmente si mise a strillare. Riuscii a staccarla e a portarla con la scatola (dove dentro erano comparse delle uova) in un terreno incolto vicino casa. Non ricordo altro di quell’episodio, purtroppo è trascorsa una vita. Quando ripenso a eventi così lontani, la nostalgia diventa prepotente. Allora il tempo trascorreva lento, sembrava non passare mai, invece ora corre come un ghepardo. Qualche volta mi piacerebbe fermarlo e tornare un po’ indietro. Forse, comincio a sentire il peso degli anni.

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